Babbo Natale è uno scansafatiche

Cicciotto. Scarrozzato qua e là su una fuoriserie dalla potenza di 9 renne: il precursore di un fed-ex che lavora un sol giorno l’anno, prendendo ferie che neanche una madre in maternità può permettersi. In alcuni paesi, mangia a scrocco latte e biscotti.

E i giocattoli? Ovvio, ci pensano gli elfi, gli “aiutanti di Babbo Natale”: altro non sono che i suoi dipendenti, al massimo. È come quel capo che ti fa fare tutto il lavoro sporco in tempi assurdi e poi si prende tutto il merito.

Non fa neanche ricerche su quello che vorresti: si aspetta una letterina dettagliata.

Scommetto che anche l’itinerario è curato dagli elfi: ci sarà qualche sfruttato che non solo terrà conto delle case dei bimbi, ma anche degli spostamenti che faranno (regalo della nonna, dello zio, del vicino di casa un po’ anziano, delle amiche di mamma…)

Quando ero piccolo, io, la letterina, neanche la scrivevo. Mi sembrava una gran perdita di tempo. Colpa la mia pigrizia. Da grande ho incominciato a chiedere regali al suono di non farmene, ma se proprio vuoi… e anche allora non ci prende. Colpa la mia sfiga.

Ma è anche vero che crescendo uno si sente di dispensare Babbo Natale, risparmiandogli il tempo di venire in casa e affidandosi alle attenzioni dei cari e delle persone vicine.

Non è che scopri che Babbo Natale non esista; è che ora tocca a loro.

Che poi, per me è stato anche abbastanza brutale il passaggio: “Stefano, cosa vuoi che ti regaliamo per quest’anno?” “Come, per quest’anno?” “Eh gli altri anni ti sei lamentato delle camicie e dei pantaloni; almeno quest’anno decidi tu e siam tutti felici” “Ah.” – meglio così, decisamente: mia madre è ancora dell’idea che alto=XL.

 

Ma per quale motivo dovremmo meritare dei regali?

Perché allo scansafatiche tocca comunque il giro supersonico intorno al globo?

E leggetela con ogni tipo di simbologia: perché Gesù dovrebbe portare i regali? Perché dovrebbe rinascere? Perché dobbiamo per forza, ogni volta, credere in qualcosa che non si vede?

 

È un po’ come al compleanno, sembra che la gente sia così felice che tu sia ancora qui da ingolosirti a rimanere con oggetti che puoi utilizzare qui.

Così è comodo ricevere, ma non quadra.

Non è che Natale sia l’occasione per fare un regalo un po’ meno figo del compleanno.

Un regalo è sempre un regalo.

Troppo spesso il regalo è il pensierino: quello che ti aspetti, quello che, visto sotto l’albero pieno di lucine fa un bel quadretto, una buona foto da #Instagram, una cosa che puoi anche desiderare ardentemente, ma che nella tua testa hai già ancor prima di scartarlo. Il pensierino posso anche farmelo da solo (lo sfizio). Al pensierino togli il prezzo, fingendo che non ti è pesato farlo o nascondendo che sia di poco valore, come se il valore delle cose sia indicato su un cartellino. Alcuni credono che sia proprio questo il senso del regalo: darti qualcosa che, se tu avessi quei soldi a disposizione, non compreresti mai.

Regalini per le ricorrenze, alla laurea, alla promozione, al 18°, all’onomastico, di ritorno da un viaggio…

Nello specifico, il pensierino mi imbestialisce: di solito è accompagnato dalle parole è solo un pensierino, nulla di che e allora tanto valeva non riceverlo.

Tutti vogliamo sentirci coccolati e non improvvisati.

Altre volte abbiamo pensato ad un regalo che potesse essere utile e via di cliché: penne a stilo, valigette, borse, tablet. E ti vien da sperare che almeno non abbiano puntato al risparmio, ma alla qualità.

 

Perché ce l’ho tanto con Babbo Natale e con quelli che fanno i pensierini?

Perché non portano doni: non sono inaspettati, improvvisi. Alle volte mi è capitato di arrabbiarmi per un dono che non volevo, ma poi l’ho tenuto, perché quelli li tieni sempre. Son quelli che appoggi sulla scrivania e crescono con te. Son quelli che scruti nella penombra della sera dal letto, con gli occhi stanchi, e ti strappano un sorriso. Son quelli che alle volte devi nascondere perché ti urtano, ti portano a pensare troppo, a decidere; e decidere è pensare anche a quello che si perde, non solo a quello che si avrà. Son quelli che t’invitano ad essere di più e non ad averne di più. Son quelli che il prezzo ce l’hanno ben in evidenza, perché si fa fatica a crescere, a rispettarsi, a volersi bene, a rinunciare a un po’ del tuo per un po’ di più dell’altro.E non esiste Mastercard per questo. Puoi spendere migliaia di € come una manciata di monetine. Non è mai troppo. C’è anche chi dona la vita.

Son quelli che non serve una letterina o una richiesta, ma serve attenzione, serve conoscere l’altro, serve voler bene al bene di chi lo riceve.

 

Fare doni inizia molto prima di uscire di casa a far compere. Prima ancora di lavorare e risparmiare. Inizia quando decidi di voler aiutare un altro a realizzare un suo sogno.

 

Allora mi piace credere che Babbo Natale non sia solo quello scansafatiche, ma che, in fondo, sia il motivo per cui la notte di Natale è speciale: Qualcuno che non si vede ti dona ogni anno la possibilità di provare ad essere chi sei e ad inseguire i tuoi sogni.

Nella mia vita questo si chiama Gesù ed è il dono più bello che mi possa fare.

“Wow, grazie una maglietta!” Indovinate la taglia? Sorrido.

 

“Io credo (ancora) in Babbo Natale, però io ci credo sul serio”.

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