Gli astronauti sognano ancora

Da grande volevo fare il top gun.
Volevo fare il pilota a Mach 2.
Volevo fare “pum con l’aerio”.

E fare il top gun era essere uno che vede la Terra da lontano, ma non la perde di vista.
Uno che si sposta senza usare i piedi, ma a cui le gambe pesano lo stesso.
Uno che vola alto, ma che riesce ancora a distinguere le linee di casa e a dare un nome ai puntini.

Ho un amico che puntava più in alto di me.
Lui voleva fare l’astronauta.
Voleva viaggiare veloce verso la luce, per incontrare la profondità del buio dello spazio.
Credo che ora abbia rivoluzionato le sue ambizioni, ma non di molto: il cielo dà nostalgia a chi lo sogna.
Lo credo, ma la verità è che spero di no. Spero non si sia arreso.

Pare sia già passato il tempo di attenzione mediatica a disposizione per la partenza di Samantha, ma l’impressione da qui è che ci siano persone speciali.
Per il 90% degli abitanti della Terra sono perfetti sconosciuti fino al lancio (e spesso anche dopo), eppure continuano ad essere un sogno e un’ispirazione per tutti.
Passano una vita intera al limite; al limite lo spostano un po’ più in là, sempre di più.

Ognuno ha il suo sogno e non è che un sogno valga meno di un altro… è che ad un certo punto solo alcuni decidono di tirarlo giù dal letto.
Solo alcuni decidono di svegliare i sogni e portarseli dietro quando il sole è alto.

L’astronauta è tra quelli.

L’astronauta è un lavoro.
Anche se non si dà mai per malato, se ogni sera non ha un divano su cui rigirarsi, non ha un gatto a fargli compagnia, non ha l’amico dottore a firmargli un certificato, non ha i ticket.

L’astronauta è un sogno.
Ancora non è ben chiaro: o sono gli eroi dell’umanità o sono i più grandi spreconi della storia: persone intelligentissime, affabilissime e fortissime che investono tantissimo tempo e risorse per cose che io e te probabilmente non vedremo, ma di cui godranno i nostri nipoti.
Vivono al superlativo.

Vivono un sogno e quando si assiste ad un sogno, tutti sono in agitazione.
L’ingegnere fissa i suoi numeri, la nonna chiude il rubinetto in cucina, il ragazzino con gli occhiali che consegna le pizze lascia cadere il cartone, ma nessuno se ne accorge.
Sono tutti ipnotizzati dalla sconfitta del tempo, che va all’indietro pur andando avanti.

Il sogno ha i colori di una matita bianca che disegna linee di fumo grigio nel cielo.

Da qualche parte, una madre finiva di apparecchiare la tavola per la cena.
Qualcuno voleva diventare un astronauta e già dormiva: probabilmente stava già sognando.
Magari anche gli astronauti sognano ancora.
E magari quando vai così tanto in su, sogni di andare giù.
Magari sognano che quelli che si immergono nelle profondità del mare devono avere il lavoro più bello del mondo – con tutta quell’acqua in cui volteggiare.

O magari hanno solo voglia di cambiare aria.
Magari scappano anche loro dal lunedì, dal traffico, dalle bollette e dai pianti della piccolina di là che non ti lasciano chiudere occhio.

Magari il sogno più grande è vivere il tuo sogno e procurartene un altro, perché, male che vada, ti rimanga almeno quello la mattina, quando lo cerchi con le dita sotto al cuscino.

Sui libri di astrofisica non lo dicono, ma gli astronauti non partono per scoprire un bel niente.
Partono per dire al mio amico e a tutti noi di non smettere di sognare.

C’è spazio per i sogni di tutti nello spazio.

Vanno su, ma poi tornano sempre giù.
Tornano a dirti che anche i sogni del cielo, quelli più grandi, partono da qui, dalla più comoda capsula spaziale in dotazione all’umanità: quel soffice materasso, dove la mente si dimentica della gravità.

Comments

comments

Rispondi