Nessuno tocchi quel rasoio – Guida pratica al Vangelo di Natale

A Natale son tutti più buoni.
Ma anche no.

Per una volta puntiamo i riflettori sulla sala d’aspetto e non sulla sala parto, per constatare che la favoletta del presepe racconta la storia di gente trasandata. Trasandata e quindi trascurata da noi, amanti del bello.

Natale è la festa dei trascurati: un angelo e un pastorello.

Non un ciao, non uno scusate il disturbo, non un permesso.
Un angelo non si presenta neanche.
Oggi sarebbe solo un gran maleducato, impiccione e sfacciato.
È uno che va dritto al punto: farebbe fatica ad andar d’accordo da queste parti.

«Non temete»

Sembrava un duro e invece si preoccupa per chi ha di fronte.
Ed è recidivo.
Non è la prima volta che fa così. E non è il solo.

A leggere la Bibbia, Non temere sembra il saluto più spontaneo quando si parla con gente del cielo.
Talmente spontaneo che lo trovi scritto una cosa come 365 volte: una per ogni giorno.
La preghiera quotidiana di Dio all’uomo deve suonare così: “non temere”.

Non temere è un verbo che si coniuga solo al futuro, più o meno prossimo.
Più che un augurio, suona come un consiglio.

Natale, si sa, è tempo di nascite. Meglio, rinascite.
E vale anche per i rapporti.
Trovarsi segna la nascita di un rapporto nuovo, ma anche la rinascita di chi siamo: siamo dei ladri maldestri che rubano un pezzo della storia di chi incontrano, senza accorgersi che anche chi hanno di fronte sta facendo lo stesso. E nonostante si perda un pezzo e se ne conquisti un altro, ne usciamo sempre più ricchi di prima.

Chi ti racconta del cielo non ha bisogno di restare a mezz’aria o di girare col cerchietto dorato che fluttua sulla testa.
A pensarci bene, forse anche tu ne hai già incontrato qualcuno: sono persone che ti hanno indicato una direzione diversa, che hanno tirato fuori il meglio di te, che hanno creduto in te.
Sono persone a cui brillano gli occhi anche quando non c’è il sole.
E ti raccontano che c’è qualcosa dietro alle nuvole.
Quando un angelo bussa alla porta della tua anima, ti si apre un mondo nuovo. Un cielo nuovo.

Ma spesso, per un mondo che ti nasce, un altro ti crolla addosso.
Non temere ti suggerisce anche la certezza che non si può davvero essere pronti a tutto nella vita, tantomeno ad avere fede: rimane sempre il più grande azzardo della nostra esistenza.
Non si crede per avere certezze, ma per trovare il modo di affrontare le incertezze della vita.

Soprattutto oggi, quell’angelo presuntuoso che non bada alle formalità ti dice di non temere.
Non temere se senti che non ti basta più.

E di fronte si trova un pastorello.
Uno che le formalità non sa neanche cosa siano.
È lì, sporco, sorpreso a vivere, profumato di terra e vestito delle piaghe del lavoro sulla pelle.
Qualcuno lì vicino sta addirittura dormendo.

Nel presepe non ha un posto preciso.
Lo posizioniamo come capita. Ad occhio.
Senza saperlo, è stato invitato ad una prima mondiale e non ha neanche un vestito adatto.
Già, perché a Natale non ci si adegua.
Natale non è il tempo di tirar fuori il vestito della festa, di mettersi in ghingheri, di tirarsi a lucido e di mettersi giù da gara.
A Natale bisogna presentarsi con la barba incolta, coi vestiti di sempre, con gli sforzi, gli acciacchi, con la fatica di vivere.
Natale si trascorre coi parenti e con i più cari perché è il giorno in cui si celebra la vita senza filtri, senza fronzoli, nella semplicità di vedersi anche un po’ bruttini.
È la festa delle imperfezioni, dei difetti e dei buchi nelle calze.
È la festa che non chiede scusa per non essere abbastanza.

A Natale non bisogna essere più buoni.
Non bisogna essere più di quello che si è.

A Natale non bisogna temere di non essere abbastanza per credere che un pastorello possa diventare un angelo.

Lettura del Vangelo secondo Luca 2, 1-14

In quei giorni.
Un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra.
Questo primo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria.
Tutti andavano a farsi censire, ciascuno nella propria città.

Anche Giuseppe, dalla Galilea, dalla città di Nàzaret, salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme: egli apparteneva infatti alla casa e alla famiglia di Davide.
Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta.

Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto.
Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio.

C’erano in quella regione alcuni pastori che, pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge.
Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce.
Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: «Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia». E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli / e sulla terra pace agli uomini, che egli ama».

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