Si salvi chi può

Un sassolino nella scarpa, di quelli che non vedi l’ora di togliere.

Lo stesso sassolino che tante volte prendi con leggerezza, dicendoti che lo toglierai dopo, quando sarai arrivato.
Eppure, a camminarci su, quello che la mente finge di non sentire è ciò che il corpo non riesce ad ignorare: ti vengono le fiacche.
Disinfettante, ago e filo.
Le buchi, stai meglio, ma torni a credere che il problema sia risolto.
Fino al prossimo sassolino.

Il sassolino di uno stivale grande. Uno stivale che dà sul mare.

Quand’è che ci abbiamo fatto il callo?
Quand’è che ci siamo abituati?
Quand’è che è diventata tutta una passeggiata?

Da qui alla Sicilia ci passano centinaia di chilometri.
Dalla Sicilia alla Libia ce ne passano molti di meno, eppure il prezzo da pagare al casello è più alto.
C’è una parete d’acqua che come l’Acheronte – il fiume che conduce all’Ade – divide chi vive da chi muore.
Caronte – il traghettatore – oggi ha la faccia più scura e le tasche più gonfie.

La verità è che non ce ne frega niente.
A Milano non c’è neanche il mare.

“Quelli devono tornare a casa loro.”
“Non c’è posto a casa nostra per loro.”

800 dispersi.
800 migranti, che diventano 800 naviganti, 800 extracomunitari, 800 clandestini, 800 di troppo, 800 problemi, 800 no.
La sfortuna di non chiamarsi Carlo, Matteo, Luca, Andrea e Debora.
Meglio lasciarli 800 e basta.

Che se ne tornino in Africa, al di là dell’Acheronte, così possiamo tornare a pensare al mare, al coccobello e ai castelli sulla spiaggia.

La vita è bella, se nasci per vivere, ma se nasci per sopravvivere, che vita è?

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