È tutto così reale sotto al velo

L’ho seguito sul canale ufficiale di YouTube della Royal Family.
Non per fare il purista della lingua inglese, ma semplicemente perché volevo risparmiarmi le chiacchiere sul nulla della coppiata Toffanin-Signorini e i picchi di gossip su quanto di vero ci fosse nel luccichio degli occhi di Meghan o nel sorriso di ammirazione di sua madre.E non farei neanche menzione del pressing alto di mia madre e del suo “orgoglio nero”, che, vedendo le telecamere del mondo ammaliate da una newly principessa mulatta, lanciava frasi da una stanza all’altra di casa alludendo al fatto che non vede l’ora. Convinta lei.

Non farei nemmeno grandi sproloqui su quanta importanza abbia oggi il matrimonio, un istituto che sempre più pare porti a dividere (la società, le culture, gli orientamenti sessuali, finanche gli sposi stessi!) piuttosto che ad unire.

Mi piacerebbe, invece, condividere qualche riflessione sul punto più alto della cerimonia.
Che, se non è il più alto, è quantomeno il punto che mi ha colpito di più: il disvelamento della sposa, l’atto con cui lo sposo (ri)scopre la sua compagna prima di convolare a nozze. Il momento della foto sopra.
E mi interessa non tanto per quello che rappresenta ai fini della cerimonia, quanto più per una cosa soltanto: è il momento in cui tutti riusciamo a vedere coi nostri occhi l’intesa degli sposi. Quanto si vogliono, come si parlano, se si cercano.
È il momento in cui tutti riusciamo a vederli per quelli che sono: due che si amano.

Una di quelle rappresentazioni a cui cinici, stitici, affetti da mutismo sentimentale e pragmatici difficilmente riescono a rimanere indifferenti.
E lo ammetto da inguaribile rappresentante di tutte e 4 le categorie messe insieme.

È l’avvenimento più normale e comune che ci sia che due persone si amino eppure rimane la battaglia più estenuante e incerta perchè (o per chi) fa i conti con lasciarsi andare e con farsi meno male possibile.

Mi sono fatto un’idea in tutti questi anni, con l’aiuto di persone stupende che non hanno esitato a lasciarsi andare completamente, fregandosene di farsi meno male, e che, se stanno leggendo questo post, non saranno sicuramente così contente di rileggersi tra le mie righe: non è stato per nulla facile con me, lo so.

Quello che mi hanno insegnato è che forse parliamo di amore come se fosse un problema.

Si innamora chi “cade tra le braccia di qualcuno“.
Siamo “senza fiato“.
Perdiamo i sensi“.
Bruciamo di passione“.
L’amore ci rende “pazzi” e ci fa “star male“.
I nostri cuori “soffrono” e poi “si spezzano“.

È come fossimo in balia di un elemento esterno, inaspettato, imprevisto e inevitabile.
Un elemento che, spesso, comporta sacrifici, lotte, a volte rinunce, per poter esser custodito intatto. Come se a una grande sofferenza corrispondesse una grande ricompensa. Come se fosse onorevole arrivare a 20, 30, 40! anni di matrimonio, ma solo perché dice di quanta fatica è stata fatta alle spalle.

E se non ci fossero braccia in cui cadere, se l’amore non ci rendesse pazzi ma semplicemente consapevoli di quello che vogliamo?

Se l’amore fosse l’incontro di due volontà, di due percorsi distinti, di due anime che si cercano proprio perché sono diverse? Se l’amore fosse darsi sempre un appuntamento, aspettarsi, sperare che l’altro si presenti, decidere insieme dove andare stasera, scegliere che film vedere, che drink ordinare, quando arriva l’ora di salutarsi e poi ritrovarsi il giorno dopo?

Amarsi è ammirarsi.
Chi si ama si stima.
È riuscire a dirsi “d’ora in poi io voglio somigliarti di più”.
Non è nulla di capitato o successo.
È confidarsi la vita e confidare di aver fatto la cosa giusta facendolo.
E dire che sembra semplice dirsi le cose, ma in realtà è un gesto radicale, rivoluzionario. Perché implica che ci si fermi a pensare a se stessi e a ciò che si sta guadagnando o perdendo nella relazione, e che si inizi a pensare a cosa si ha da offrire. È un contratto a tempo determinato, potenzialmente rinnovabile ogni volta, purché sia consapevole.
Questa versione dell’amore ci permette di dire cose come:

“Ehi, non collaboriamo bene. Forse non fa per noi.”

Oppure:

“Questa relazione è durata meno di quanto volessi, ma è stata comunque bella.”

Questo è ciò che negli anni mi è stato svelato e che, con tutto il mare di fatica che c’è tra il dire il fare, mi piace credere abbia come punto fermo della mia esistenza quando penso all’amore.
Non ha nulla a che vedere col matrimonio, regale o “reale” che sia, né con “l’etichetta” o il vestito bianco; nulla a che vedere con il matrimonio per sempre o il 4° matrimonio.
È solo questione di trovarsi a velo scoperto e riscoprirsi.

Che fatica e che invidia.

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11 commenti su “È tutto così reale sotto al velo”

  1. Parlare dell’amore come se fosse un contratto è già un allontanarlo da quello che è… l’amore non deve essere rinnovato, ma curato e con esso il rapporto tra le due persone che si amano. Il velo te lo devi togliere nel momento in cui decidi di amare qualcuno o quantomento (se ben incollato alla faccia) togliertelo pezzo per pezzo con incessante impegno. L’amore tra due persone non ha bisogno del magistrato di sorveglianza che decida se va bene o meno prima si ogni concessione o di un processo infinito fino al millesimo grado di giudizio, come per le persone innocenti l’amore ha diritto di essere libero e ingiudicato fino a quando funziona. L’amore è abbastanza complesso per essere contrattualizzato o dotato di leggi, scadenze o rinnovi e se si vuole capire qualcosa dell’amore più che dalla legge cercherei di interpretarlo con la fisica dove più le cose sono complesse e piene di variabili e più si guarda il problema da lontano nel suo insieme come un sistema unico di infinite particelle che formano un unico corpo perchè a guardare le cose troppo complesse con gli occhi della legge o da troppo vicino si rischia di cercare sempre il cavillo che faccia sgretolare il sistema o ne evidenzi le imperfezioni altrimenti invisibili o di concentrarsi sull’atomo fuori posto in un sistema che ne ha infiniti senza vedere la perfezione e l’ordine che lo circonda. In ogni caso per mettere a posto l’atomo non è necessario distruggere l’intero sistema, ma basta lavorare su di lui e sistemarlo al suo posto. E dall’amore si passa alla coppia che non deve essere gestita come un’impresa (snc) in cui i soci devono fare il bilancio di ció che guadagnano o perdono in funzione delle risorse che hanno messo a disposizione, perchè a vederlo così un buon imprenditore vuole sempre guadagni dal suo investimento e gli scoccia aggiungere capitale perchè l’azienda ha dovuto usare il suo per coprire qualche buco, ma se l’impresa è la coppia che si ama i due investitori devono concentrarsi sul far funzionare l’azienda e fargli superare i periodi di crisi senza pensare ai guadagni o al capitale investito perchè se si lavora insieme i ricavi, se si è scelto il socio giusto, arrivano. Dipende anche molto da quanto capitale sociale ognuno dei due ha messo all’inizio e di quanto questo è stato aumentato nel tempo, perchè nei periodi di crisi se si è stati senpre avidi e non si è messo nulla o poco in condivisione l’impresa chiude.
    L’amore è un problema di ingegneria e non forense e in ogni caso come diceva Woody Allen “Basta che funzioni”.

    1. La vedo un bel po’ differentemente.

      La legge non rappresenta ciò che determina i rapporti e che li vincola in preconcetti basilari, ma, viceversa, prende forma e fotografa rapporti e relazioni che rappresentano il quotidiano.

      Personalmente credo che il concetto di “curare” un rapporto — di cui parli — sia lontano anni-luce dal concetto di “rinnovarlo”. “Curare” è “gestire”, è potare un ramo secco, è custodirlo come per mantenerne il colore degli inizi, è tenerlo in lucido come si fa coi pezzi da collezione, è “mantenerlo” a tutti i costi. Presuppone grande forza di volontà e grande costanza, ma non evolve: è riuscire a far sì che non si deprezzi, che non perda valore, che si mantenga per quel che è.
      Il concetto di rinnovarsi “a tempo determinato” è per me il simbolo più alto dell’amore, che altro non è che il simbolo più alto della volontà. È incontrarsi, sono due fotografie che cambiano nel tempo e che decidono per se stesse che anche oggi c’è spazio dell’una nella vita dell’altra vicendevolmente.
      Ed è proprio per questo che chi col matrimonio, chi con la convivenza, chi con un viaggio, un fiore o uno spazzolino lasciato a casa dell’altro, tutti cerchiamo e diamo conferme del nostro rapporto, nuovi stimoli e nuove forme.

      Da vicino o da lontano che sia, non penso la storia cambi: ci sono aspetti minuscoli a cui non siamo in grado di rinunciare ed elefanti su cui sappiamo soprassedere. Ma sta proprio nel determinarli il gioco di rinnovarsi e sscegliersi, altrimenti “amore” è più plausibile incominci a far rima con “assuefazione” e a declinarsi al tempo della routine.

      La differenza, per quanto mi riguarda, sta tutta lì: sulla percezione che l’amore debba salvarsi a tutti i costi e che si debba far di tutto (finanche rinunciare a se stessi!) pur di salvarlo, rimanendovi aggrapati. Io invece sono più convinto che l’amore risponda esattamente a ciò che voglio per me e, proprio perché io sto cambiando ed evolvendo, anche l’amore deve essere in grado di rispondere a chi sono (diventato), altrimenti, questo sì!, diventa limite e non facilitatore.

      Tralasciando la metafora societaria (per cui mi riservo di garantirti che l’amore è esattamente come una società, senza i profili di responsabilità cui l’imprenditore è esposto se decide di chiudere drasticamente) la differenza tra le due opinioni è proprio racchiusa in Woody Allen: io mi guardo bene dal non invischiarmi in quel tipo di relazione, perché non potrà mai bastare “che funzioni”. Arrivati ad una certa maturità sociale, “funziona” anche il rapporto col vicino di casa.
      Basta che mi basti. Altrimenti non sarà mai abbastanza.

      1. Curare non esclude il rinnovare o il cambiare, si cambia perennemente durante il corso della vita e di conseguenza cambiano anche i rapporti.

        A tempo “determinato” invece secondo me rinchiude in sè già la volontà di fissare una data di scadenza oltre la quale forse si rinnova (nel senso contrattuale del termine) oppure no. Che secondo me non è compatibile con l’idea di impegno e progettazione (sia a livello lavorativo, ma a maggior ragione se si parla di amore). Ci vedo meglio l’idea di contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti che parte dal presupposto di voler costruire qualcosa di solido e duraturo che si rafforza nel tempo (una botta e via o la scopata estiva non è paragonabile a una storia di anni). Se parto dall’idea di avere quel tipo di contratto mi resta sempre la possibilità di scelta e rinnovo, ma con l’idea di voler continuare il rapporto e più il rapporto si consolida nel tempo (per ovvi motivi, almeno che non funzioni nulla nel rapporto) e più per romperlo bisogna pensarci sopra o lavorare sul cosa non va e quindi rinnovare o rescindere dal rapporto… ma sempre nell’ottica della costruzione e non del “tanto finirà”.

        In un rapporto a due per forza bisogna “rinunciare” a un pezzettino di se stessi per donarlo all’altro se no si resta come due rette parallele, ma non per questo quella rinuncia deve essere qualcosa di negativo o un peso, in termini aziendali direi che è un investimento nell’altro e di solito gli investimenti si cerca di farli fruttare. Se non si è disposti a investire un pezzo di sè nell’azienda a lungo termine (con i relativi rischi di impresa) difficilmente si puó andare oltre al “giocare in borsa” che sicuramente offre dinamicità, rinnovo e alti guadagni, ma personalmente preferisco costruire e investire in un’impresa solida e duratura nel tempo che sappia anche rinnovarsi perchè no… le aziende che nella storia non hanno saputo farlo sono fallite miseramente…

        I profili di responsabilità invece li hai se l’azienda fallisce perchè in ogni caso qualcosa ci perdi, tanto o poco che sia…

        Il gioco sta nel trovare qualcuno che investe con te e che con te “rinnovi” l’impresa e che faccia quadrare il bilancio e che insieme a te faccia aumentare il capitale sociale nel tempo, quindi assunti a tempo indeterminato…

      2. Di recente una persona a me vicina ha tirato fuori la teoria del “basta che funzioni”. Io non la condivido. Tanti rapporti funzionano, o funzionerebbero, eppure non sono “amore”. Penso (probabilmente sbagliando) che sia la teoria di chi antepone il bisogno di essere coppia al bisogno di amare e di essere amati.

        Van Gogh, parlando dell’amore, diceva: “la marea si alza o si abbassa, ma il mare resta il mare”.
        Pensare che resti sempre uguale è un’illusione. Così come lo è pensare che si possa colmarlo a forza di secchiate di volontà: che pure non escludo funzionerebbe, con la dovuta pazienza.

        C’è chi ha paura di legarsi alla persona sbagliata e ha il “basta” sempre in canna. C’è chi ha paura che troppi “basta” rendano impossibile legarsi e non lo dice neanche quando lo sente. Sono due facce della stessa medaglia. L’errore è lo stesso: cercare di non sentirci impotenti nei confronti di una cosa verso cui impotenti lo siamo.
        Pensare di poterla far funzionare è illudersi di averne il controllo; ugualmente, pensare che debba andare liscia come l’olio e annullare da sola le nostre paure è un modo per sabotarla, e porci al riparo dalle delusioni.
        Ma in realtà, alla fine, cambia poco: troverà comunque il modo di fregarci. L’amore ne sa una più del diavolo.
        Per alcuni per sempre è una promessa, per altri è una rassicurazione.
        Io non mi fido di chi mi dice “per sempre”. Mi fido di chi mi ama ogni giorno.

        1. Sono profondamente d’accordo, anche se mi riconosco talvolta in quelli che “troppi basta rendano impossibile legarsi e non lo dice neanche quando lo sente”.

          Francamente continuo a credere sia il tripudio della volontà e non una forza invisibile che ci sopraffa ed è proprio per questo che invidio chi si ama ogni giorno.

          1. Nessuno è perfetto, e in materia d’amore tutti siamo stati rimandati all’appello successivo, qualche volta.
            (L’assenza di un libro di testo non aiuta)
            Io appartengo all’altro lato della barricata, quelli dai troppi basta, e soprattutto non credo all’amore che risolve i problemi o che magicamente mette tutto a posto. Il lavorone va fatto prima di tutto su se stessi: non sentirsi metà, ma interi, e non avere bisogno di nessuno. Quando non si ha più bisogno, averne voglia.
            Per me non è rinunciare a un pezzettino di sè, è scoprirsi qualcosa di più che se stessi. E comincia il secondo lavorone: da essere 1, scoprirsi 1+x. E l’incognita può portarti a zero come tenderti a infinito.

  2. Il tema del rinnovo del contratto non è tanto nella data di scadenza, quanto più nell’invito ad una consapevolezza più matura e attuale: la data serve da monito a non portarti a sottovalutare il senso del rapporto rimandando a “domani” ciò che se non fai oggi, forse non farai più, magari raccondandoti che in fondo “non è poi così importante”.

    Cosa significa “rinunciare a un pezzettino di se stessi per donarlo all’altro”? A cosa devi rinunciare per far sì che “funzioni”? Mi sfugge questo tipo di meccanismo. E se invece fosse molto più immediato per cui io sto con l’altro semplicemente perché è ciò che voglio? Dove sarebbe la mia rinuncia? Perché ci deve sempre essere un valore negativo nell’equazione?

    Infatti, il più delle volte, mi pare di capire che sia evidente questo modo di impostare la relazione nell’incapacità di dirsi “basta” quando l’unico motivo per restare è la strada alle spalle…

    1. Equazioni valide di soli valori valori positivi non esistono, almeno che non siano solo degli zeri… rinunciare è riferito a tutto, anche il tempo che dedichi all’altro lo stai attingendo dal tuo, per essere in due qualcosa di proprio bisogna metterlo in gioco… e questa “rinuncia” non è da vedersi come cosa brutta, per quanto la parola possa darne una valenza negativa.
      Non è negativo appunto perchè lo vuoi, se non si da e non si riceve ai è semplicemente defli estranei.

      Per le scadenze invece, sembrano un pretesto per trovare ció che non va in maniera predeterminata (e se una cosa si cerca spesso si trova), ma se due persone si parlano e sono oneste l’una con l’altra, e con se stesse, questo processo di verifica è sempre in esecuzione e non richiede di avere una schedulazione a parte con una propria deadline.

      Il “basta” si dice nel momento in cui l’equazione non è più risolvibile o è diventata di soli zeri, oppure quando il processo di verifica restituisce solo errori. Se non arriva vuol dire che le incognite dell’equazione ancora fanno in modo che tutto funzioni (mi riferisco a situazioni normali e composte da persone equilibrate). Non bisogna vivere peró con la fobia del non saper dire “basta”, se no è come vivere con il preaupposto di doverlo dire prima o poi. Se il punto di partenza è voler trovare la persona giusta con cui costruire qualcosa di duraturo, la parola “basta” in canna equivarrebbe a costruire tutto su un tappeto elastico dove un niente basterebbe a per far crollare tutto…

  3. Anche queste parole, come quelle del tuo libro, le trovo stupende e le condivido profondamente.
    Però, intuisco esserci qualcosa che mi sfugge.
    Forse stiamo sottovalutando la bellezza e la forza dell’amore.
    Perché due persone che si amano non dovrebbero riuscire a cambiare e a evolvere insieme?
    Forse amarsi non è una cosa così scontata come si pensa.
    Forse pensiamo che l’amore possa fare male perché non comprendiamo che cosa sia.
    Forse, se due persone si fanno del male, non sanno amarsi.
    Non escludo che si siano innamorate l’una dell’altra.
    Non escudo che avrebbero voluto amarsi con tutte le loro forze.
    Non escludo la bellezza dei momenti vissuti insieme.
    Non escludo la profondità del legame che si è creato.
    Non escludo l’importanza dell’uno nella vita dell’altro.
    Non escludo il dolore della separazione.
    Non escludo che si porteranno dentro l’un l’altro per sempre.
    Però, intuisco che questo non sia amarsi davvero.
    Sono convinta che ci si possa amare davvero SOLO INSIEME.
    Secondo me, amarsi davvero, ha sicuramente qualcosa a che fare con il saper lasciar andare.
    In ogni caso, voglio credere nell’amore:
    Voglio credere che amarsi, non potrebbe che essere bellissimo.
    Voglio credere che amarsi, non potrebbe che aver senso.
    Voglio credere che amarsi, non potrebbe che essere semplice.
    Voglio credere che amarsi, non potrebbe che essere ciò che si vuole.
    Spero un giorno di scoprire cosa significhi amarsi davvero.
    Spero che possa scoprirlo chiunque.
    Temo non sia così scontato.

    1. Scontato proprio no!
      Non so se si ama solo chi si sente amato, ma credo che, alla fine della sera conti dire, fare, promettere, rivelare nulla più che quello che si è o che si ha da dire.
      Credo questo sia un ottimo inizio per amare.
      Prima di tutto se stessi.

  4. L’amore muove il mondo, l’amore unisce, l’amore crea.

    Io penso che l’amore sia energia, nient’altro e niente di meno.
    Penso anche che non ci sia un solo modo di percepire questa energia, ognuno di noi la sente e la vive con quello che ha e che è in quel momento e non c’è un “meglio” o un “peggio”, al massimo trattandosi di energia si può parlare di un “di più” o un “di meno”.

    Con questa premessa, se interpreto correttamente le argomentazioni di cui sopra, direi che rispondono tutte alla domanda “Come vivere l’amore?”

    La mia risposta a questa domanda è che io vorrei vivere l’amore con la stessa attitudine con cui vivo la vita: ricordandomi che non ne ho il controllo, non ne ho il dominio ma ogni giorno, a ogni passo, a ogni incontro, io posso scegliere.
    Per questo mi sento vicina all’idea di volontà che portavi cinque anni fa in questo post e che io leggo solo ora, per caso, senza nemmeno conoscerti.

    Con l’amore come con la vita possiamo scegliere ad ogni istante:
    se accogliere o respingere
    se restare o andare
    se ascoltare o ignorare
    se condividere o trattenere
    se aprirci o chiuderci.
    E in questi esempi la seconda possibilità che ragionando in astratto può sembrare quella sbagliata in certi casi si dimostra necessaria.

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