Cose che “non si sa mai”

Gli occhi sentono solo la tenera luce fioca dalle candele in casa.
Le orecchie vedono il suono di un arpeggio di Andy McKee, che solletica la mente.
Sono da solo.

Di fronte a me una credenza, piena di tazzine, bomboniere, flûte, teiere, set di porcellane.
Ci saranno sì-e-no 200 cose.
200 cose che in 27 anni di vita credo di non aver mai visto fuori da quella credenza.
Eppure so che ci fanno lì: sono le cose che “non si sa mai”.
Non si sa mai, possono sempre servire.
Potrebbero tornar utili.

Non si sa mai

eppure si sa che quelle sono proprio 4 parole pericolose.
Tutti abbiamo cose che non si sa mai.
Le teniamo lì, in standby, in attesa di un giorno che verrà. Che magari arriva anche quel giorno, ma quasi ti dispiace spenderle.
Perché poi si consumano, invecchiano, si spendono, ed è già ora di buttarle.

Anche io ho la mia credenza: sono pacchi di giochi, foto, cartoline, bigliettini romantici, pupazzetti. Tutti consegnati al solaio, sotto al letto o in un fustino.
E ci son quelle giornate in cui il ricordo si fa più debole e m’improvviso speleologo nelle caverne della mia memoria, in cerca di un sorriso nostalgico.

“Non sarà ora di buttarlo?”

E se il punto non fosse che le cose diventino da buttare, ma che tu ti butti via se non te ne sbarazzi?

Navicelle nello spazio.
Mongolfiere in cielo.
Rotelle in bici.
Braccioli in acqua.
Le foglie d’autunno.
Certezze.
Convinzioni.
Punti Esclamativi.
Abitudini.
Relazioni malsane.
Relazioni meno malsane, ma che non fanno più bene.
Dolori.
Dispiaceri.
Brutti ricordi.

Tutto da perdere per andare avanti.
E chi ha tutto da perdere ha solo da guadagnare.
Rischiano di diventar tutte cose che non si sa mai.
E se poi cadi? E se poi ti vengono le vertigini? E se vai a fondo? E se perdi l’equilibrio? E se resti solo? E se non sei pronto?
E se?

E se abbandoni queste cose e poi ti senti abbandonato?

Io credo che il punto non sia spogliarsi del superfluo: quello va bene nei libri che parlano di zaini da portarti dietro.
Il punto è tenere quel che serve, spolparlo, succhiarlo tutto, riempirti la pancia, consumare le suole di quelle scarpe, bucare quei pantaloni, lasciare che quella maglia scolorisca perché è per quello che è stata pensata. Viviamo per questo: per spenderci.
Tutto ha un suo motivo: la zavorra, in fondo, prima di esser gettata serve anch’essa a mantenere l’equilibrio. Senza zavorra la mongolfiera salirebbe troppo velocemente.
La zavorra di oggi sono proprio i più grandi insegnamenti di ieri che oggi non ti servon più.

Lascia andare il “ho sempre fatto così”: è la prima volta in vita tua che vivi il tuo oggi;
lascia andare la fretta di arrivare: non ci sarà un trofeo alla fine;
lascia andare la paura di non fare in tempo: non saprai mai quanto resterai;
lascia andare il dolore provato: ormai è solo una crosta sulla pelle;
lascia andare chi credevi fosse il tuo mondo e non lo è più: lasciala a chi la saprà coinvolgere nel suo;
lascia andare le certezze: domani puzzeranno di chiuso.

Lasciati andare invece!
Abbandònati a quello che c’è, a chi c’è, a chi vuole esserci, a chi vuol restare, alla tua pancia, al brivido sulla tua pelle, alla ricerca della felicità.
Adattati adesso, dominerai il tuo domani.

Iniziano a cadere le foglie dell’autunno ed io ho una credenza grande e la tendenza al collezionismo.
Però, non vedo l’ora di correre sui marciapiedi: chissà che, insieme alle foglie, sotto le mie scarpe consumate, non scrocchino anche le mie cose. Che “non si sa mai”.

Comments

comments

Rispondi