Se avessi scritto un libro diverso

(dall’introduzione alla Presentazione del libro “Io, a Radicofani, non ci sono arrivato” del 27.10.2016)

Da dove comincio?

Parte sempre tutto da qui.

È tutta una cosa molto fisica: si tratta di quanto riesci ad incollare il tuo sedere alla sedia.
Alcuni si forzano a stare, io mi sono forzato a trovare posti che mi obbligassero a rimanere tanto erano belli o significativi per me: la piazza da cui son partito, un bel locale a Monza, un altro bel locale a Monza, luoghi “forti” del mio ultimo anno alle spalle che Dio solo sa.

La storia non esiste ancora, ma è tutta in divenire: tu sei fisicamente comodo, seduto. Il tuo protagonista, magari, è esattamente all’opposto: scomodo, fuori dalla sua zona comfort.
Ma non è detto che sia così anche dentro: lui è euforico, al massimo curioso di vedere come andrà a finire. Tendenzialmente tu che scrivi non te la passi bene.
Qualcosa ti brontola all’altezza del polmone e sei tutto un ribollire di idee e passioni.
E tutto quel che proietti nella storia, va a finire che è molto più simile a quel che sei proprio mentre scrivi.

Scegli il titolo ed è chiaro che sarà una storia di fallimenti, come spesso presentiamo le nostre storie del quotidiano: ci sembra sempre che sia molto più interessante quel che non va, rispetto a quel che va.
Ma sai anche che visto che stai facendo lo scrittore tu sei la prova vivente che sei ancora qui, che ce l’hai fatta e che non sei un fallito. Ti senti più impavido: non sai come andrà a finire all’inizio, ma ti fidi del processo che ti porterà lì. In un certo senso, ti fidi del viaggio.

Quel che ancora non sai della storia che scriverai conta più di quel che già sai, perché accende il tuo senso della meraviglia.
Il tutto condito dal senso, che spesso nella vita non hai.

Fai una scaletta, che inevitabilmente stravolgerai.

Un personaggio principale che vuole disperatamente qualcosa (o andare da qualche parte). Un personaggio che vince o perde. E tendenzialmente vuoi che vinca.

C’è un ragazzo, un biglietto del treno, una stazione semi-vuota, un sole timido in fronte e le gambe che tremano di paura.

Domani la biglietteria è chiusa, meglio fare il biglietto oggi

“Torno a casa.”
“Chi me lo fa fare?”

Il treno di domani è vecchio e fa caldo. I vetri non scendono.
Non c’è posto a sedere, e lo zaino sembra davvero troppo grosso.
Gente al cellulare, gente sui libri, gente alla finestra. Tutti altrove.
Il ragazzo è tremendamente , sente i binari scivolare sotto di sé, la colazione troppo leggera, il cielo troppo leggero.

 

Poteva anche iniziare così.
Quando scrivi una storia puoi scegliere di fare due cose: puoi raccontarla o mostrarla.
E puoi usare sommari o scene.
I sommari son distanti, ma vanno dritto al punto; le scene son intime, ma hanno i contorni un po’ sfocati: con queste ingaggi le emozioni di chi legge.
Credo che ogni cosa che conti nella mia storia debba avere le forme di una scena.
E ogni dettaglio dice qualcosa in più in una scena.
Scrivere una storia è archeologia.
Non ogni dettaglio raggiungerà la pagina in bianco e nero.
Ma questo conta poco.

Una cravatta verdone, a strisce. Su sfondo a quadrettoni. Bianco e blu. Azzardato.
Due ciuffi ai lati, occhiali con una montatura importante. Con uno spolverino, un giacchettino leggero, blu, come di chi sa che potrebbe piovere perché è un’estate che fa schifo. O come chi non regge l’aria condizionata.
Porta un graffietto sulla guancia e tu sai bene che ogni graffio — sia crosta o inchiostro — porta una storia con sé, ma non sai ancora se servirà alla tua storia.
È attratto dalla maglia del ragazzo, sempre lei!, quella della Jmj di Madrid, gialla con una croce rossa.
Il ragazzo decide che ha qualcosa da dirgli e lo aspetta.

 

E stai già scrivendo di attesa, speranza, timore, incontro e viaggio.
Sei in treno.
E non hai neanche iniziato.

Torni alla biglietteria.

“Un biglietto per Fornovo, passando da Fidenza”.

Non ha ben presente dove rimangono sulla cartina.
Riesce ad essere in coda persino a luglio e ritira il biglietto più fiero del giorno della laurea.
E ti chiedi che ruolo avrà questo biglietto nella storia.

C’è una ragazza giovane che va al mare.

“Un biglietto per Finale (Ligure)”

gli pare di sentire.
Una coppia di mezza età, baffi lui, trecce lei.
Tutti alle sue spalle: portano delle grosse valige con sé.

 

E ti accorgi che ti bastano 3 persone per creare la sua rinascita, da quel che era a quel che è: mare e comodità sono alle sue spalle.

Di nuovo, in treno e ritrova la motivazione e la grinta per scendere e continuare la sua strada.

 

Capolinea, stazione Centrale.

“Ma quella è la maglia della GMG di Madrid?”
“Sì..!”

 

e scrivi tutta una conversazione che serve solo a dirgli che andrà tutto bene.

Ma il tuo protagonista non può esser passivo.
Che ha da dire? Che ha da dare?
Sta già fallendo.
Si è aperto alla vita, vuole vincere.
E racconti tutte le volte in cui si è sentito di perdere, ma poi ce l’ha fatta.

Hai il protagonista e sai cosa vuole. Devi creare un crescendo verso il finale.
Prossima scena.

 

Il ragazzo apre le mappe con le tappe mancanti e capisce che non ce la farà.
Non ha molto tempo e, forse, non ha neanche molto senso.
Di fronte ha un letto a castello, anzi due.
Le lenzuola son nuove, ma troppo finte per essere sue.
Di là una voce tedesca intona un testo inglese che non conosce.
Fuori voci di 2 bambini che giocano a prendersi.
Ha smesso di piovere, ma cade ancora qualche goccia dalle grondaie.
Il paese è piccolo, non si sentono macchine.
Vicino, su un altro letto sente un respiro lento. Un respiro che conosce bene, perché è il respiro che lo aspetta ogni mattina.

 

E allora tu che leggi, t’immagini che sia quello di una ragazza.
E ti dimentichi che ruota tutto intorno al vincere.
Devi dargli una fine, una scena.
Una possibile è che il ragazzo, anche se non è arrivato dove voleva arrivare, sente che è già arrivato dove oltre non gli interessa, perché c’è quel respiro.
E allora mette via le mappe, chiude gli occhi e si ferma ad ascoltare quel respiro, sognando.
Si sente profondamente arrivato e, potesse, lascerebbe a terra lo zaino per l’ultima volta.

Un’altra fine è che il ragazzo, anche se non è arrivato dove voleva arrivare, per oggi, va bene così. Per oggi non gli manca nulla e non vede l’ora di ripartire verso Radicofani, godendosi il panorama delle colline toscane, quasi pensando che alle volte sia anche meglio non arrivare subito: ti perdi il succo del viaggio.

E ritorni al biglietto e poi alle mappe.
E nel mezzo? Beh, lo capirai mentre scrivi perché il tuo sedere è ancora incollato alla sedia ed hai la meraviglia intorno.
E non lo sai se e quanto valga la pena rovinare la tua storia con la verità: sai che alcuni saranno incazzati perché avrebbero voluto trovare di più di questa storia; altri si saranno emozionati perché hanno trovato troppo.

Ma sai solo che vale la pena perché sei elettrizzato al punto che non riesci ad alzarti da lì.

Grazie per aver letto la mia storia.

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