I Power Rangers sanno che chi scrive urla in silenzio

“Scream if you wanna go faster”

cantava quella Union Jack vestita da Geri Halliwell anni fa.

“Urla se vuoi andare più veloce”. Come sul Blue Tornado di Gardaland, dove ti manca l’aria per respirare ma ne hai sempre abbastanza per urlare.

Pensando a questa giornata, quella del mio 25º compleanno, la tentazione è questa. Urlare.

All’inizio volevo raccontarvi la storia di tutti quegli amici che su facebook hanno tolto la data di compleanno “per vedere chi ci tiene davvero e si ricorda” per poi arrivare a sera tristi, avendo investito la loro giornata a sperare negli auguri di questa o di quella persona. Come se ci si dovesse necessariamente ricordare una giornata in cui tu non hai nessun merito se non quello di esser nato. E a parlare con alcuni genitori, non è detto neanche che questo sia un merito.

Senza parlare di altre amiche che tolgono solo l’anno di nascita, nella speranza di ingannare il tempo per sentirsi più giovani ma non più piccole. Essere grandi è il nuovo essere vecchi e, a quanto pare, Peter Pan è ancora il cartone animato preferito per alcuni.
Sappiamo come va a finire.

(Se ve lo chiedete, io blocco la pagina perché così vi tocca sporcarvi le mani. Magari anche incappare in questo articolo. Nulla è dovuto, ma se dovete, fatelo per bene.
Sono stronzo, lo so io e lo sapete voi.)

Ma poi ho detto basta.

Basta perché il compleanno è il mio Natale e a Natale o vivi nella nostalgia del passato, con le briciole di chi eri, o riparti con il profumo del futuro, con le sfumature di chi sarai.

Che poi è anche il Natale dei cugini Ortodossi, ma questa è tutta un’altra storia.

Fino ad ora compiere gli anni per me era l’occasione per ripercorrere l’anno, appunto, appena compiuto. 25 sono alle spalle, ora si parte col 26º. E fa un po’ effetto: inizi a rispondere “25”, ma ormai sei più verso i 30 che i 20. La verità è che il giro di boa, la metà, l’hai già superata.

Ma stavolta non m’interessa.

Stavolta mi prendo il mio compleanno per parlare di presente. Di oggi: il momento essenziale perché io possa ringraziare per un passato così raggiante e sperare in un futuro altrettanto radioso.

Qualche minuto fa sono capitato sulla foto di un poster che mi avevano rubato. In IIª liceo (per il resto del mondo equivale al 4º anno di liceo classico) con l’amico Gabriele abbiamo deciso di tappezzare la nostra aula con fotografie e poster. La volevamo più nostra. Uno di questi miei poster raffigurava Homer Simpson a mo’di Urlo di Munch.

homer-scream

Devo la mia passione per la storia dell’arte a quella santa (anche se non credo concordi con me sull’epiteto) della mia prof. Una che mi ha affidato uno dei suoi libri preziosi per la mia tesina di maturità sul delirio di onnipotenza con la dedica “lascia stare con l’onnipotenza! Elimina la… zavorra: voglio credere al tuo cuore sincero”.
Santa e profetica, le devo molto.

Ecco a me gli espressionisti come Munch non piacevano. Mi sembrava l’evoluzione dei disegni dei bimbi. Homer era il giusto sfottò e forse per questo non ha superato la notte: la mattina dopo, in classe, non c’era già più.

È la seconda volta (*qui trovi la prima, La Creazione di Adamo del Michelangelo) che mi cimento in un’analisi artistica e so bene che là fuori pullula di esperti e di personalità più competenti.
È la seconda volta, quindi che me ne frego delle pennellate, delle linee e persino del racconto di Munch (che sfido io a rimanere tranquillo con dei genitori che ti chiamano Edvard. Con la V. E voi che vi lamentate per le H dopo Sara o per la K in Erica).

Come per le citazioni, prendo in prestito il quadro, ma non voglio che sia efficace solo perché ha una firma famosa in basso.

Parlerò del quadro e dei passanti.

Sul quadro ho deciso di mettere solo una foto del dipinto in alto. È esteticamente brutto, dipinto proprio male, non è uno di quei quadri che definiresti un capolavoro se solo non l’avessero già fatto migliaia di altri.

L’Urlo è come la Gioconda: uno di quei quadri che puoi anche non avere lì di fronte perché tanto sai benissimo com’è o anche perché, un pochino, quella sensazione l’hai già provata e il quadro, in realtà diventa la copia dell’originale. L’originale sei tu.
Per capirci, è come Michael Jordan: sai perfettamente chi è anche se non sai che per far canestro devi buttare la palla nel cesto e non al di là di una rete oppure perchè, da piccolo, nell’età in cui ti dicono che è lecito sognare, speravi di essere tu a fare quel canestro da metà campo con i Looney Tunes.

Se gli occhi sono il senso dell’essenziale, il senso primordiale, quello “dello stomaco”, delle emozioni e dei sentimenti è l’udito: il primo ponte tra la creazione e la nascita, il primo trailer di quello che ci sarà fuori dalla pancia, ma anche il biglietto da visita di chi è appena arrivato. Un altro urlo.
E te ne accorgi subito anche ai concerti: si piange non per le luci, ma per la forza del suono.

I passanti dal canto loro, pur sentendo l’urlo, non comunicano, rimangono lì. Lo lasciano da solo ad urlare. Ma anche loro son da soli. Tutti lo sono nel quadro. Soli come chi condivide con me il peso di una festa che in realtà è stata spesso già portata via dall’epifania: tutti a scuola, qualsiasi giorno fosse aveva sempre il sapore di un lunedì e si sa che quel sapore lì non piace proprio a nessuno. Persino mia madre ha già ritirato gli addobbi di Natale.

Soli. Soli perché alle volte non basta il gruppo, una festicciola, una compagna di viaggio, una buona playlist, un bel film.

“Nasci solo e solo andrai”

diceva Ligabue.

Giusto ieri mi raccontavano la storia di questo vecchino che ogni giorno andava a trovare la sua fidanzata con un mazzo di fiori.
Andava a poggiarli al cimitero.
Andava a poggiarli, però, ogni giorno, su lapidi diverse, perché lì c’erano tutte le fidanzate di una vita spesa ad inseguire un amore che ama cambiarsi di vestiti. Talvolta anche troppo spesso.
È rimasto solo.

Soli ed urlano.

Urlano perché si sentono soli.
Urlano e basta.
Basta che urlino alle volte.
Urlano perché ci sia almeno il suono di una voce amica che riempia il vuoto della stanza, che spinga via il peso dell’aria sulle spalle, che li faccia sentir liberi.
Urla chi si vuole liberare, non chi si rassegna.

Non cercano per forza un dialogo. Cercano un’attenzione.

 

È capitato, spesso, che il mio compleanno fosse questo tipo di urlo. Ma l’ho detto, niente passato.

 

Tutti desiderano qualcuno che abbia il tempo per ascoltare il loro urlo e la voglia di sentire che rumore ha. Perché quando ti accorgi che qualcuno sta urlando non puoi non schierarti: o ci sei, o non ci sei. L’indifferenza è una balla.
Non conta quanto forte sia l’urlo e quanto sia chiaro: ognuno urla nella sua lingua.
Alcuni urlano con gli occhi, ma sono i più sfortunati: in pochi li usano ancora!

 

Vi ho detto una bugia. Quest’anno penso al presente, ma voglio per forza buttare anche un occhio al futuro: voglio augurarmi che la strada sia sempre poco segnata, che il vento alle volte sbuffi invece di soffiare, che il sorriso non brilli proprio sempre, che non ci siano solo lacrime di felicità, che il sole continui a brillare sempre sulle case degli altri e un po’ meno sulla mia.

Augurare ogni bene è credere che, senza, non sia vita. Non lo augurerei a nessuno. Io ho imparato troppe volte che dalle urla fanno male le orecchie e la gola, ma anche che solo chi perde la voce è capace di apprezzarla quando ti viene voglia di cantare o quando esulti con gli amici. E anche lì fan male le orecchie e la gola.
Solo che ne vale la pena.

Chi urla non punta al risparmio.
Chi urla non ha paura di far sentire che c’è.
Chi urla non ha paura di sentirsi.
Chi urla non ha paura.

Vale la pena urlare.

 

Le aste hanno una loro liturgia: gesti e movimenti che rimandano ad un senso alto. Quando ci sono in ballo i soldi, poi, potete immaginare quanto la gente tenga a far le cose per bene.
Per me hanno anche un lato divertente perché mi ricordano le mosse dei Power Rangers che combattono con i Patties di Rita Repulsa, quelli che fingevano di cadere, colpiti da uno schiaffo, facendo una ruota e magari anche una capriola. Un’altra liturgia dei miei pomeriggi di, ormai, un bel po’ d’anni fa.

Ecco, qui, una delle copie dell’Urlo di Munch viene battuta all’asta, ponendo un nuovo record alla vendita di un’opera d’arte.

E mi pare ovvio.

Chi ha tanto da dare sa che ogni bellezza passa da un urlo.
Bella da urlo.
Come la mia vita.

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